Roberta Mazzacane giornalista

Marco Bocci si racconta a cuore aperto al Bct 2023

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Marco Bocci al Bct
Marco Bocci al Bct

Reduce dal “Love film festival” di Perugia, quest’anno dedicato a Francesco Nuti, dove Marco Bocci è stato il padrino della manifestazione, l’attore umbro ha poi raggiunto un’altra piccola cittadina, Benevento, per partecipare al BCT, il festival di cinema e tv dell’estate del Sannio: “Vivo questi momenti con grande entusiasmo. Ho iniziato a fare questo mestiere 25 anni fa in un territorio come l’Umbria, da cui mi sono dovuto allontanare perché all’epoca non offriva possibilità. Oggi, invece, mi riempie di gioia vedere che la mia regione è diventata una realtà in cui i giovani hanno chance fino a qualche anno fa negate. Tutto questo grazie a tanti progetti che vengono portati avanti concretamente”.

Bocci, insieme al regista, ha ricevuto il primo Grifone intitolato proprio a Pietro Vannucci per il miglior documentario mentre a Benevento ha presentato e fatto vedere il suo secondo film da regista “La caccia”. Nel panel della serata a Benevento ha raccontato di partire sempre da qualcosa che lo coinvolge quando si cimenta a scrivere, un libro o un film che sia: “Il desiderio o la voglia di raccontare un aspetto della nostra esistenza, del nostro sociale, che o mi dà piacere o mi disturba e quindi usare questo piccolo spazio, che in qualche modo mi colpisce, per creare una storia dentro la quale argomentare, discutere e aprire anche un pensiero, un dialogo, un’apertura e un confronto su quello che in qualche modo a me colpisce”.

 

E ancora: “Non riesco ad aver un distacco dalle storie che racconto… a volte mi piacerebbe anche l’idea, però poi mi rendo conto, quando parto con tante idee che non mi riguardano, pensando che potrebbero essere delle ottime serie o degli ottimi film, poi però quando vado a scriverli mi rendo conto che faccio una fatica bestiale perché non riesco a prendere nulla di me e in fase di scrittura invece per me è fondamentale raccontare o mettere qualcosa di mio che sia un’emozione, che sia un modo di fare, che sia un tic, che sia una visione della vita all’interno della storia e all’interno dei personaggi che vado raccontando. Quindi insomma è fondamentale per me che ci sia sempre qualcosa e che mi ha colpito in prima persona in ogni film e in ogni serie che cerco di scrivere”.

Marco Bocci ha detto di essere ipercinetico, di avere ormai poca memoria e si è dimostrato molto affettuoso verso la sua famiglia… “Ho cominciato a scrivere alle superiori, senza sapere cosa stessi scrivendo, perché partivo con delle poesie o die piccoli racconti e poi c’è qualcosa, magari un atteggiamento… che mi indicava la strada oppure chi fossi, senza che io me ne rendessi conto. Per esempio c’era un mio prof che mi chiamava l’attore… Io mi sono sempre posto la domanda per quale motivo mi chiamasse l’attore, non riuscivo a capire, non c’era un motivo vero e proprio. Quindi è chiaro che poi ripensandoci, forse dentro di me c’era qualche cosa che non riuscivo a mettere a fuoco. Era un prof di economia e i miei compiti in classe avevano sempre 1, quindi non gli do il merito di nulla, però anni dopo ci ho ripensato”.

Marco Bocci: il lavoro di attore è da pazzi

“Questo lavoro ti espone ad un giudizio costante, schietto, diretto, sfacciato, dall’inizio proprio: vai a fare un provino ed è già il primo momento in cui vieni giudicato. Vai bene e sei dentro, non vai bene e sei fuori, quindi è chiaro che è un mestiere folle, dove ci vuole una forza per continuare a farlo, una tempra, che molto spesso anche se c’è un talento grandissimo non c’è questo tipo di forza e ti fermi prima. Anche la pazzia serve perché vai avanti senza mai avere niente sotto i piedi e quindi automaticamente è come se tu ti muovessi sull’incertezza costante. Poi ci tengo a dire che molto spesso, soprattutto in Italia, che è un mercato molto diverso dalle star holliwoodiane, chi fa l’attore o il regista è spesso messo sullo stesso livello di un calciatore. Non per screditare i calciatori, ci mancherebbe, sono dei grandissimi professionisti, ma è un mestiere totalmente diverso, economicamente anche un calciatore può permettersi cose molto costose, ha un prodotto interno lordo di un paese, un attore invece ha bisogno di lavorare costantemente” ha detto riflessivo il regista de “La caccia”.

Raccontando degli esordi ha fatto sorridere il pubblico: “La svolta vera e propria c’è stata durante una discussione bestiale con mio padre perché io volevo una motocicletta, mio padre non ci pensava minimamente a comprarmi una moto perché aveva paura e quindi decisi: “Va bene, vattene a quel paese… comincio a fare qualcosa per comprarmela da solo”. E’ chiaro che facevo i lavori più disparati all’epoca: dal bracciante agricolo, al cantiniere, e studiavo architettura. Poi dopo invece cominciai un percorso totalmente alternativo, che immaginavo, perché facevo una scuola di teatro amatoriale, nel paese, e cominciai per la prima volta lì per quel senso di rivalsa per quella moto che mio padre mi negava”.

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