Roberta Mazzacane giornalista

L’Europa ci chiede più bio, per farlo ci vogliono i semi giusti

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Servono ricerca e innovazione tecnologica amiche dell’ambiente per la transizione ecologica

Negli ultimi 100 anni, secondo la Fao, è scomparso il 75% delle specie vegetali impiegate in agricoltura. Tra le principali cause della perdita di biodiversità troviamo l’uso sempre più ridotto di varietà vegetali coltivate in porzioni di territorio sempre più estese.

A produrre il 60% dei semi venduti in tutto il mondo sono solo quattro aziende, le stesse che producono pesticidi e concimi impiegati nell’agricoltura industrializzata. Questo modello ha dimostrato di avere effetti negativi sulla biodiversità agricola ma anche su ambiente e salute umana. Parte delle sementi utilizzate non è ‘riproducibile’ oppure l’autoriproduzione a cura dell’agricoltore non risulta interessante perché instabile e poco produttiva.

L’agricoltura biologica necessita di varietà ‘locali’, legate cioè alle caratteristiche delle aree di produzione, oppure selezionate in modo specifico per una pratica agroecologica, in grado di svilupparsi pienamente in campi dove la chimica di sintesi non viene impiegata.

La Strategia europea Farm to Fork  prevede che entro il 2030 i campi biologici arrivino al 25% della superficie agricola del continente. Obiettivo importante e ambizioso visto che il bio copre oggi l’8% delle terre agricole europee (in Italia questo dato sale al 15,8%): per moltiplicare i campi bio così come indica il Green Deal, occorre partire dall’inizio, da semi adatti. Semi che siano in grado di produrre piante con radici ramificate e profonde, in grado di ‘andarsi a cercare’ il nutrimento che non viene fornito in forma immediata dai fertilizzanti chimici di sintesi. Semi che – ad esempio – diano vita a piante di frumento alte, in grado di competere con le erbe infestanti. O che siano in grado di far fronte, anche per diversità e varietà, ai cambiamenti climatici.

Il vicedirettore generale della Fao, Maurizio Martina, ha sottolineato l’urgenza di andare avanti in maniera veloce nella comprensione dei temi dell’equilibrio ecologico del Pianeta, ricordando che domani si celebra appunto l’Earth Day. Il problema che dobbiamo affrontare non è solo quello del contenimento degli effetti avversi della crisi ambientale ma la costruzione di un equilibrio duraturo, la cui chiave è la rigenerazione. E in questo senso il biologico, con il suo impegno verso pratiche rigenerative del suolo e l’utilizzo di semi buoni e a disposizione degli agricoltori, è un punto centrale.

L’agricoltura biologica e biodinamica possono essere parte della soluzione all’impoverimento agricolo e alimentare. Ma occorre un impegno forte su ricerca e innovazione per lo sviluppo e la selezione di sementi adatte al biologico. Oggi in Italia a farlo sono in pochi, nonostante il nostro Paese sia il secondo per estensione di campi convertiti al biologico.

Per questo NaturaSì, assieme ad altre realtà biologiche italiane ed europee, sostiene la Fondazione Seminare il Futuro che promuove la ricerca e la selezione di sementi 100% biologiche, il così detto ‘organic breeding’. “È quasi incredibile pensare che non sono le istituzioni della ricerca pubblica a occuparsi di un settore centrale per l’innovazione in campo ambientale. Noi stiamo facendo la nostra parte ma occorre un piano di ricerca nazionale: è difficile pensare a una transizione ecologica che dimentichi l’agroecologia”, conclude Jori.

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